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Tessere di storia: il Matrimonio

  • orizzontecultura2
  • 28 mag 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Fra i tanti percorsi possibili nell’ambito della storia delle donne e delle relazioni di genere, si colloca una ricerca che documenta quanto fosse centrale nella vita delle donne, attraverso i secoli, l’aspettativa del matrimonio considerato come unico destino sociale possibile.

Pascal Dagnan-Bouveret, "Benedizione di una giovane coppia prima del matrimonio" anno 1880


Tutto ciò che ruota intorno a queste aspettative: dalla confezione del corredo alla stipula dei contratti dotali, dalla promessa e celebrazione del matrimonio alla nascita dei figli, riveste una importanza notevole per la conoscenza del passato al femminile delle donne tarantine. Ma se per le classi agiate o nobili i matrimoni venivano decisi nella bilancia dell’interesse, per le classi più umili tutto ciò che regolava il corso dei rapporti tra i giovani dei due sessi fino alle nozze non coinvolgeva né questioni di potere, né problemi patrimoniali, anche se riti e usi erano comunque retaggio di quelli consuetudinari del diritto romano o longobardo secondo i quali, ancora per tutto il Settecento, si viveva nelle nostre contrade e che ancora oggi è possibile leggere nella tradizione popolare di molti comuni della nostra provincia.


Tutto aveva inizio nella prima adolescenza, quando l’incertezza del domani circa la meta più ambita nella vita delle fanciulle stimolava alla curiosità, ad indagare il futuro con mezzi misteriosi: diffusa nella provincia di Taranto era la preghiera alla Santa Monica. Santa Monica, madre di Sant'Agostino, è infatti la patrona delle donne sposate, delle madri e delle vedove. Bisognava, dunque, posizionarsi al centro di un crocevia in numero di tre, nel buio più completo e recitare la seguente nenia: “Santa Monica pietosa, Santa Monica lacrimosa; a Roma andasti e da Milano venisti; e come portasti notizie del tuo figliolo, così portami notizie di…” (si chiedono notizie sulla persona amata o sulla questione che ci sta a cuore).

Ripetendo ossessivamente questa nenia, si attendevano e si interpretavano i segni che venivano fuori dall'oscurità.

Tanti i “rituali” di previsione sentimentale che le ragazze prive di fidanzato potevano provare, fra queste la lettura del bianco dell’uovo versato in un bicchiere di acqua da eseguire nella notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, dalla forma assunta dall’albume si poteva indovinare il mestiere del futuro sposo o altri segni di buono o cattivo presagio. Anche un fischio poteva fornire risposte, quando una fanciulla sentiva un fischio, si faceva dire un numero e scorrendo l’alfabeto si fermava sulla lettera corrispondente che poteva essere iniziale del nome dell’eventuale pretendente.

Sin dalla prima adolescenza le ragazze, sotto la guida di madri e di nonne, cominciava ad eseguire i primi lavori con semplici motivi e imparava, attraverso la precisione e l’attenzione richiesta dal ricamo, la virtù della pazienza, fondamentale al momento in cui la donna, sposandosi accedeva al nuovo stato.



Le donne, così hanno cominciato dal passato più lontano a scrivere una storia senza parole fatta di aghi e di fili, di lini e di sete, di fantasia e di arte raccontando se stesse nel silenzio e nel chiarore dei lumi a petrolio, tramandando memoria di sé da madre in figlia, da donna in donna.

L'avvicinamento da parte del giovane alla fanciulla prescelta, non era un'impresa facile; le occasioni, infatti, erano minime e il contatto tra uomo e donna in pubblico era vietato.

I giovani si incontravano durante le feste religiose, durante la messa della domenica, durante la vendemmia o la raccolta delle olive, tutte occasioni in cui il ragazzo sceglieva la sua futura sposa anche se la vera dichiarazione d’amore veniva affidata a qualche persona di famiglia o alla mezzana, questo personaggio, l'antico “paraninfo”, che ha quasi veste giuridica, conduceva le trattative fino alla conclusione, recapitando bigliettini e messaggi amorosi, naturalmente dietro compenso. Accettata la proposta da parte della ragazza, non subito per difendere la sua moralità, i mediatori informavano la madre della giovane e se essa, dopo essersi accertata che provenisse da una buona famiglia, dava la sua approvazione, il ragazzo, poteva entrare, per la prima volta, nella loro casa. Si arrivava quindi alla dichiarazione ufficiale di fidanzamento, "rito di passaggio" che introduceva al matrimonio, con specifico riferimento al mondo latino degli sponsali, caratterizzati, in forme diverse a seconda delle varie epoche dalla presentazione del pretendente alla famiglia, allo scambio dei regali che avevano un importante significato simbolico.

Quando per la disapprovazione dei genitori o per motivi economici il matrimonio non poteva seguire il normale iter, i fidanzati facevano la fuitina, scappavano di casa costringendo le rispettive famiglie ad organizzare velocemente le nozze, per ridare alla ragazza l'onore perduto.


La prima riunione tra le due famiglie si chiamava “riconoscenza” o “combinamento” in cui si trattavano generalmente i patti del matrimonio riguardante il corredo e la dote e la data del matrimonio. Dopo la riconoscenza, ufficializzata l'unione, l'uomo poteva vedere la sua amata solo nei giorni e negli orari prefissati dai suoi familiari in casa o fuori ma accompagnati sempre da almeno un componente delle loro famiglie. I due innamorati, durante la visita del ragazzo, sedevano agli estremi opposti del tavolo e conversavano, senza avere alcun contatto, guardati dalla madre seduta al centro.

Durante il periodo del fidanzamento, i due giovani si scambiano piccoli regali; nell'Italia centro-meridionale era tradizione regalarsi il fazzoletto che la ragazza ricamava con ingenue frasi d'amore. L'anello di fidanzamento assume un significato molto importante: di primo impegno nuziale.

E’ legato all’istituto delle “arre” di antica origine semitica come “prezzo della donna” adottato nel diritto romano per rendere valido il fidanzamento e in caso di contestazione, come prova dell’obbligo contratto. Come “arra” lo sposo era solito dare al padre della sposa o del denaro o più spesso appunto un anello. L’ anello per gli antichi simboleggiava per la sua forma circolare perciò senza interruzione, la fede costante ed inviolata e la sposa se ne adornava il dito della mano sinistra dal quale si credeva partisse un nervo o una vena in diretta comunicazione con il cuore.

Anche se non certo paragonabile a quello, solenne, degli antichi sponsali, di cui rimangono celeberrime testimonianze pittoriche, il pegno ne rappresenta tuttavia, anche nella società contemporanea, il sostanziale equivalente.

James Tissot, Henry James,Portrait of the Marquis and Marchioness of Miramon and their children”, 1865

 
 
 

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