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Una finestra sulla storia di Taranto

  • orizzontecultura2
  • 18 apr 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Anche Orizzonte Cultura 2.0 vuole dare il suo contributo alla campagna di comunicazione #Iorestoacasa e #laculturanonsiferma aprendo una finestra sulla storia della città di Taranto e del suo territorio per raccontare, con l’aiuto delle fonti, frammenti del nostro passato.



In questi giorni di forzato isolamento il cibo è diventato importante ed ha sviluppato la consapevolezza del suo valore e del nesso esistente con l’ambiente che ci circonda.

Parlare di alimentazione dei nostri avi significa anche trattare di fame, di desideri, di uomini, donne e bambini, quando il cibo non era sufficiente e quindi condizionava il lavoro, il tempo libero, le feste, la mentalità, l’aspetto fisico, la salute delle popolazioni.

Motivo per cui bisogna partire dalla economia del territorio che, nella generalità dei casi, viveva unicamente di sussistenza. Anche la pesca, da cui traeva sostentamento gran parte dei tarantini, era esercitata da pescatori per lo più proprietari di piccole barche i quali, non avendo capitali a disposizione, non riuscivano ad organizzarsi in una minima marineria. L’agricoltura, con scarso numero di addetti locali, non poteva costituire di per sé fonte primaria di sostentamento poiché i nobili e il clero, avendo concentrato nelle proprie mani il latifondo agrario, potevano disporre a loro piacimento del bracciantato, remunerato con salari da fame e impiegando soprattutto manodopera del circondario. Anche l’artigianato languiva e il commercio che si svolgeva nelle tre piazze di Taranto era aggravato da eccessivi balzelli.



Il regime feudale, infatti, continuava ad informare di sé capillarmente tutte le strutture dello Stato con una infinità di tributi, privative e abusi che si concretizzavano in un meccanismo fiscale basato sulle gabelle che colpivano quasi esclusivamente i commestibili. È facile immaginare come questo tipo di tassazione, finiva per gravare enormemente sulle classi meno abbienti. Le amministrazioni locali facevano del loro meglio per lenire il disagio di una popolazione stremata ed esasperata inviando continuamente al Sovrano richieste di sgravi e provvidenze.


“…perché al presente la supplicante si ritrova in grandissima penuria si per la scarsa racolta, come anco per la compra fatta da publici mercanti delle maioriche sotto il pretesto che debbiano servire per la grassa di questa fedelissima città di Napoli…per il che li poveri non trovano ne pane ne grano nelle pubbliche piazze conforme il solito per sostegno di loro povere famiglie


Il sindaco, quindi, implorava il Sovrano di ordinare ai mercanti di prelevare dai magazzini “tutta quella quantità di grani che sarà di bisogno per uso e grassa di essa città” e di venderla in piazza al giusto prezzo. La forte pressione fiscale, le angherie subite, insieme ad una situazione economica e sociale ai limiti, esacerbò gli animi dei tarantini che, verso la metà del mese di luglio del 1647, quando a Napoli veniva decapitato il giovane e ardito pescatore Tommaso Aniello detto Masaniello, diedero vita ad una memorabile rivolta…..



CONTINUA...



 
 
 

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