Una finestra sulla storia di Taranto - Parte III
- orizzontecultura2
- 29 apr 2020
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Se la carne era un lusso, il consumo di pane di grano era un miraggio: il pane bianco era, infatti, sulle tavole dei benestanti, quello nero a base di cereali minori, soprattutto il mais mescolato con legumi, castagne o lupini era nell’alimentazione dei poveri.
Se il pesce fresco era appannaggio dei ceti più abbienti, quello affumicato o salato lo era dei ceti popolari. Questi, facendo di necessità virtù, hanno sperimentato, nel corso dei secoli, modi di preparare e cucinare il pesce, diventati oggi piatti tipici e ricercati sulle nostre tavole.

A questo proposito bisogna parlare per la nostra città del famoso tarantello. Si tratta della parte più alta della pancia del tonno che si conservava in salamoia o affumicata (non sott’olio). Questo prodotto costituì il vanto della cucina cinquecentesca italiana. Il tarantello figurava, infatti, tra le pietanze del banchetto offerto in Trastevere in onore del re Carlo V d’Asburgo, ma è citato, come cibo prelibato, in un antico menù del Giovedì Santo e in alcuni sonetti romaneschi degli inizi del XIX secolo. Il tarantello appare per la prima volta nel quattrocentesco ricettario del comense Maestro Martino, una sorta di chef stellato dei suoi tempi, e se ne parla anche nel “de romani piscibus” del 1560 e in altri trattati di cucina.

In tutti è costante il riferimento al golfo di Taranto come antica tonnara e al sistema di conservazione in salamoia, proprio della nostra città. Nel Mar Grande si pescavano, infatti, i tonni soprattutto nel luogo detto le Fosse verso S. Vito, i pescatori spingevano i banchi verso il Mar Piccolo dove venivano pescati con i gripi, reti molto diverse da quelle in uso nelle tonnare meridionali.
Il cuoco Martino e un altro gastronomo italiano, l’oritano Vincenzo Corrado, danno anche la ricetta: “bianchito il tarantello con acqua e aceto, e pesto con pistacchi, corteccia di limone e spezie, si scioglierà con aceto, sugo di limone e olio e passato al setaccio si servirà sopra pesci”.

Benché a Taranto ormai non se ne conservi nemmeno la memoria, ancora oggi a San Gennaro Vesuviano si tiene ogni anno, nella seconda decade di settembre, una fiera che coinvolge ben otto comuni del comprensorio nolano in cui c’è la Sagra del tarantello. Nei primi secoli di vita della fiera quella che veniva considerata una spezia era venduta in grande quantità e rappresentava uno dei prodotti di maggior attrazione della Fiera. Conservata opportunamente sotto sale, veniva aggiunta alle varie pietanze per insaporirle. Ora, per lo meno dalle nostre parti, il tarantello lo si trova soltanto conservato in olio, più costoso del normale tonno in scatola.
A Taranto l’unica testimonianza ritrovata sinora è un documento del 1407, conservato nell’Archivio di Stato di Taranto, in cui Ladislao di Durazzo, per mostrare la sua benevolenza nei confronti degli abitanti di Taranto, esenta per sempre il prelibato tonno dal pagamento del dazio.

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